Quando in Occidente si parla di bonsai, ci si riferisce spesso con l’espressione “l’arte del bonsai”: questa frase si trova ormai comunemente e anche io ho avuto molte occasioni di vederla. Anche in inglese si dice “the art of bonsai” che è la stessa cosa. Questo modo di riferirsi al bonsai è motivato dal voler esprimere un’alta stima nei confronti del bonsai dandogli giustamente la dignità di arte (anche se per l’occidentale potrebbe forse apparire un po’ strana o non appropriata…). E’ dunque diventato molto comune parlare di “arte del bonsai” ovunque, e questa espressione è ormai normalmente accettata in occidente per indicare che il bonsai è una forma artistica elevata che ha come oggetto un elemento naturale: le piante. Tutti sanno che il bonsai in Giappone è una forma estremamente elevata e raffinata di manipolazione delle piante per dar loro una forma di grande bellezza e di grande fascino evocativo che coincide, appunto, secondo la mentalità occidentale con una forma “artistica”.
Tuttavia, essendo io un linguista, oltre che uno studioso della cultura giapponese, mi sono interrogato su questa espressione “arte del bonsai” per comprendere se essa sia derivata da una equivalente espressione giapponese, o sia stata coniata appositamente da occidentali. Questa curiosità non è naturalmente solo di tipo linguistico accademico, ma ha un’altra motivazione, cioè la percezione del bonsai in occidente, e se questa percezione sia corrispondente a quella dei giapponesi oppure se ne differenzi in qualcosa. La motivazione è quindi di tipo culturale e vuole, attraverso la lingua, capire i diversi (o uguali, o simili) approcci dell’Occidente e del Giappone (o più generalmente dell’Oriente) non solo nei confronti del bonsai, che è un ottimo esempio di indagine, ma anche e soprattutto nei confronti dell’arte e poi della natura. In giapponese la parola “arte” può essere resa con in termini “bijutsu” (美術), “geijutsu” (芸術), o anche “gijutsu” (技術).
Tutti questi termini sono composti nel secondo elemento da “jutsu” ( 術 ) che letteralmente significa “arte, tecnica, mezzo”, anticamente “strumento, metodo, modo”. Nella struttura del carattere, troviamo 行 che oggi significa “andare”, ma che anticamente significava “percorrere una via a lungo”, cioè praticare a lungo una tecnica o un’arte e apprenderla profondamente. Tornando alle tre parole di cui sopra, vediamo che la più comune per rendere “arte” è bijutsu, il cui primo elemento è il “bello”, quindi, tecnica, via, pratica del bello”. Tuttavia, questa parola non è originaria del Giappone (e neppure dell’Oriente) antico dove non esisteva, ma è stata coniata nel secolo XIX per rendere letteralmente la parola “belle arti” di cui è traduzione letterale. Di fatto, quando in Giappone si parla di “arte del bonsai” non si dice “bonsai no bijutsu” che suonerebbe molto strana e inappropriata. Il terzo termine, gijutsu ha una connotazione meno elevata e più pratica e rende appropriatamente il nostro “tecnica”. Vediamo, invece geijutsu che ci fornisce interessanti spunti di riflessione. GEIjutsu 芸 (藝) è un termine più generale di bijutsu, infatti bijutsu è una delle espressioni di geijutsu e in particolare quella che si riferisce alla bellezza visiva e alla sua espressione. Geijutsu è presente nella cultura giapponese fino dall’antichità e pertanto è adeguato a esprimere la concezione tradizionale giapponese di “arte”. Letteralmente significa: “acquisizione di una raffinata capacità per mezzo di pratica ed esercizio prolungati.” Inoltre, originariamente significava “attraverso la manipolazione di elementi naturali produrre una forma raffinata o bella”. GEI è il processo che conduce alla bellezza, è il “fare” la bellezza e la raffinatezza, mentre BI è la “bellezza” in quanto tale, cioè è il processo realizzato. Ma ancor più interessante è andare a scoprire l’origine antichissima di questo carattere. Esso veniva letto ueru che significa “coltivare”, “per mezzo dell’intervento umano far crescere le piante”, cioè coltivarle. In questo senso, GEI ha il significato dell’intervento umano sulla, o nella natura. Ma non nel senso di forzarla, piuttosto di interventi per favorirla o seguirla in armonia con i suoi principi. Infatti, la coltivazione è un’azione umana in armonia con la natura, per lo meno nel suo senso tradizionale e originale ….. che è quello che si intende qui.
Ma torniamo al carattere GEI 藝 e per andare ancora più a fondo, vediamo la formazione del carattere, cioè come è composto, poiché questo ci dice quale fosse in origine il significato fondamentale che si voleva dare a questo carattere. GEI è composto di 木 (albero)+ 土 (terra) + due mani umane che si protendo sui di essi ad indicare che l’uomo mette le mani sulle piante messe in terra per coltivarle (GEI è quasi una fotografia!). Ma ancor di più. Gli studiosi di caratteri antichi aggiungono: “togliendo le parti inutili come rami e foglie, allevare la pianta con una forma gradevole.” Infatti la parte superiore del carattere 艸 sta a indicare “tagliare”. Insomma GEI è il bonsai!! Dunque, per riassumere, GEI è “acquisizione di una raffinata capacità per mezzo di pratica ed esercizio prolungati” e deriva dal concetto di “manipolazione di elementi naturali per produrre una forma raffinata o bella”, in particolare delle piante per mezzo della loro coltivazione controllata. Quindi, si intende “arte” nel senso della capacità dell’uomo, una capacità prima di tutto artigianale, di portare l’oggetto o la performance al suo intrinseco massimo grado di perfezione. Così dal giardino, al bonsai, alla cerimonia del tè, al Nō, all’ikebana. In altre parole, 芸 indica la realizzazione di un oggetto artistico o la performance di un’arte per mezzo dell’esperta e raffinata azione dell’uomo. La quale per potersi realizzare necessita di un lungo e laborioso apprendistato durante il quale la mano dell’uomo negli oggetti, o la capacità di performance, si affina sempre di più fino a diventare…. arte! Dietro alle rarefatte e sublimi rappresentazioni di un attore del Nō, o al quelle di un maestro del tè, in cui ogni atto, ogni espressione è frutto di lungo apprendistato e di studio, dietro alla misteriosa bellezza di una tazza raku, o al fascino di un dipinto ad inchiostro, vi è un lungo percorso di ricerca di affinamento di continua pratica ed esercizio, anni e anni passati a ripetere gli stessi modelli, sempre più raffinati, sempre più belli, soprattutto sempre più armoniosi. Nel GEI vi è molto dell’artigianato che portato alla massima ricercatezza diventa finalmente arte. In questo quadro si inserisce anche l”arte” del bonsai. Essa è GEIJUTSU, non BIJUTSU perché non solo l’opera è bella da vedere e colpisce la vista per le sue caratteristiche (e questo sarebbe BIJUTSU), ma è qualcosa di più!, è l’espressione della raffinata tecnica acquisita dalla mano dell’uomo dopo anni e anni di esperienza pratica appassionata. Il bonsai è prima di tutto artigianato, nella sua massima valenza, cioè portato a raffinatezza tale, quanto vi giunge, da essere GEI, arte. Ma vi è di più. Consideriamo per un momento il concetto di “arte” come lo concepiamo in Occidente. Il Dizionario Garzanti così definisce il lemma arte: “Attività umana volta a creare opere a cui si riconosce un valore estetico per mezzo di forme, colori, parole e suoni” da cui possiamo desumere che l’obiettivo dell’arte è la creazione di opere di valore estetico, cioè, belle. Se pensiamo al bonsai, potremmo essere soddisfatti di questa definizione? In altre parole, il bonsai per essere “opera d’arte”, cioè essere apprezzato, deve soltanto soddisfare il nostro senso estetico? Per esempio, una tazza raku è “bella”? Una cosiddetta “cerimonia del tè” è bella? Oppure c’è anche qualcos’altro, diciamo qualcosa in più? Insomma, basta che il bonsai sia bello per essere apprezzato? A parte la definizione di bello che ci porterebbe lontano e non può essere trattata qui, credo che l’apprezzamento di un bonsai, oltre che estetico, tenga conto anche di altri fattori tra cui l’abilità dell’esecutore, il suo gusto, il senso profondo che comunica. L’opera del GEI, per dirla in breve ha anche una forte connotazione spirituale che l’arte del bello come tale può non avere. Mentre il BIJUTSU attrae, soddisfa, convince, il GEIJUTSU con-muove (cioè muove forze interiori), appassiona, porta alla comprensione, eleva lo spirito, lo pacifica. Mi viene di pensare ai guerrieri giapponesi medievali che prima di andare in battaglia ad affrontare la morte, assistevano a una “cerimonia del tè”: dopo il loro spirito era pronto ad affrontare più serenamente il nemico e il pericolo della morte. E’ forse un caso che il bonsai faceva parte nel tokonoma dell’ambiente dove si svolgeva la cerimonia del tè? BIJUTSU è bellezza, GEIJUTSU è spirito. Pensate che ci sia spiritualità nel bonsai? Se lo pensate esso è GEIJUTSU. In Giappone esiste l’espressione shinzenbi (真善美) formato da tre caratteri: verità (sincerità), bene, bellezza che indica i tre elementi che sempre si dovrebbero accompagnare insieme. All’ideale estetico ( 美 ) si associano necessariamente la dimensione morale (善, 真).
In Occidente l’arte è l’espressione del mondo interiore dell’artista, la sua proiezione concreta nella materia. L’arte scaturisce dalla sua personalità, dalla sua originalità. A volte questa personalità per essere originale e poter esprimere l’arte giunge a forme distorte, come la pazzia o problemi psichici, si pensi al grande Van Gogh, per esempio,ma anche a tanti altri. L’artista non è, comunque, l’uomo comune, con il sentire comune. Se così fosse non potrebbe produrre nulla di originale. L’artista è una persona speciale con una personalità speciale, capace di vedere cose che altri non vedono e di percepire sensazioni che altri non percepiscono e trasmetterli in forma concreta agli altri. E’ una persona in qualche modo “speciale”.Pensate anche voi che vi dedicate all’”arte del bonsai” di essere persone speciali? Ma torniamo alla definizione di GEI: “acquisizione di una raffinata capacità per mezzodì pratica ed esercizio prolungati.” In questo caso l’obiettivo non è solo la produzione di un’opera perfetta, o bella, ma anche il percorso dell’artista o più semplicemente dell’uomo che si dedica con passione a una via e su questa via scopre molto sulla tecnica del bonsai, ma anche molto su se stesso, in un processo di mutua crescita. Lavorare sul bonsai è anche lavorare su se stessi. Mentre l’artista occidentale cerca l’ispirazione prima di creare l’opera, l’artista del GEI cerca l’armonia interiore prima di accingersi a realizzare l’opera. Per l’artista occidentale l’ispirazione è una sorta di flash intuitivo,per l’artista del GEI l’opera sgorga dal mondo interiore, dal suo stato d’animo e dal suo percorso di lunga esperienza. Per questo è anche spirito, è soprattutto spirito.“(Piuttosto), purificando profondamente il proprio cuore (心を澄まして), e portando la coscienza ad un alto livello di concentrazione su questo stile (lo stile ushin 有心), allora qualche volta si riesce a comporre (vera) poesia.” E per comporre vera poesia “è buona regola prima purificare il cuore.”Ma ora vorrei affrontare il tema del rapporto con la natura, sapendo che non potrò svilupparlo esaurientemente, ma dovrò limitarmi a pochi cenni, perché è un tema di enorme portata. E vorrei partire proprio dalle considerazioni sull’arte che ho sviluppato sopra, perché mi sembrano un buon punto di partenza, e una logica conseguenza.
Dunque, sono venuto dicendo che nel BIJUTSU l’artista è al centro della sua opera,ossia l’opera è antropocentrica e riflette l’idea dell’artista. Si pensi ai giardini occidentali progettati con schemi logici e razionali, dove si trovano sentieri diritti, aiuole rotonde, quadrate e triangolari. L’effetto è di grande armonia e perfezione. Il giardino all’italiana, per esempio di tipo rinascimentale è di questo tipo e si comprende facilmente che è antropocentrico, ha l’uomo come soggetto, cioè riflette la mente umana(o possiamo dire che è antropomorfo?). I giardini giapponesi invece, sono costruiti secondo gli schemi della natura, la mano dell’uomo non si vede, e non deve vedersi. Non è casuale che l’arte dei giardini sia detta in giapponese engei (園芸), cioè “GEI dei giardini. ”L’uomo, l’artista, è lo strumento attraverso il quale la natura prende la sua forma (lo stesso è per il bonsai). In altre parole, l’artista è colui che fa sì che il processo artistico si realizzi (il bonsai sta è lo colui che permette alla pianta di realizzarsi nella sua forma più perfetta). Il maestro del tè è colui che esprime attraverso se stesso quello che l’uomo nella sua forma più elevata dovrebbe essere: armonia e profondità. Quindi è lo strumento che permette la realizzazione della vera natura umana. Anche nel caso del maestro del tè, l’individualità dell’artista non appare: il maestro è la perpetuazione di una tecnica raffinata appresa con l’esercizio e secondo regole prestabilite e valide per tutti gli esecutori della cerimonia. Egli permette il realizzarsi e il perpetuarsi dell’arte del tè nelle sue forme codificate. Potremmo dire che il maestro è il sacerdote della cerimonia.
Il GEIJUTSU si realizza entro forme tradizionalmente codificate con un apporto di originalità individuale ridotto. L’abilità dell’artista consiste non nel mostrare la propria individualità, ma nel portare la tecnica al suo punto più elevato, a diventare arte sublime: questa è il suo apporto individuale all’arte Quindi mentre l’arte nel BIJUTSU sorga dall’uomo e dalla sua individualità, il GEIJUTSU si forma in un percorso di continuo perfezionamento che trova la sua ispirazione al di fuori dell’uomo, nella natura. Imitando, riproducendo la natura e i suoi processi, raffinandoli, sublimandoli, sintetizzandoli, copiandoli, rendendoli essenziali e talvolta astratti e simbolici, l’artista trova la sua fonte di ispirazione. Una fonte certa,autorevole, indiscussa, sempre affidabile, che porta con sé non solo bellezza, ma anche profondità spirituale, perché nel pensiero dell’Oriente la natura non è solo armonia ma verità e fonte di perfezionamento spirituale. Si nota spesso anche da parte di artisti e pensatori occidentali che nell’arte dell’Oriente massimamente in quella giapponese, il modello è quasi sempre la natura, in tutti i suoi aspetti, in tutte le sue forme. L’arte astratta non fa parte della tradizione artistica di questo paese, e effettivamente se pensiamo a una qualunque delle arti che si sono sviluppate colà, troviamo sempre al centro la natura. L’obiettivo degli artisti (per esempio i bonsaisti) è quello di riprodurre le forme della natura nella loro massima espressione di perfezione, senza mai stravolgerla. Ciò che l’artista produce è sempre nell’ambito delle forme presenti in natura, mai al di fuori di esse, per esempio rendendole astratte. Ma di nuovo torniamo alla lingua che come sempre ci fornisce gli strumenti fondamentali per la comprensione della significato profondo che si nasconde dentro le parole. Il termine giapponese (e cinese) per natura è shizen (o jinen) 自然 che vuol dire,leggendo i due caratteri che compongono la parola letteralmente “essere così come si è da se stessi” a significare che la natura si produce da se stessa (non da Dio come in Occidente) in un processo completamente autoctono, autoreferenziale ed endogeno. Nessuna forza esterna, né l’uomo né altre entità la producono e ne permettono lo sviluppo. In Cina ebbe particolare pregnanza nelle dottrine del Taoismo in cui venne a significare la positiva spontaneità delle cose cui l’uomo si dovrebbe uniformare. Tuttavia questo termine ha iniziato a significare “natura” secondo la concezione occidentale solo dal XVIII secolo, e precisamente compare in un dizionario olandese – giapponese del 1796 per tradurre la parola “natuur”. Prima di allora, la concezione di natura come si trova in Occidente era significativamente assente in Giappone. Al più si usava il termine tenchi 天地 “cielo e terra”. Tuttavia esisteva la parola shizen già anticamente in Cina, ma significava “l’essere così come si è delle cose senza l’intervento dell’uomo” e non come oggi, “il complesso delle cose e degli esseri dell’universo in quanto si ritiene che abbiano in sé un principio costitutivo che ne stabilisce l’ordine e le leggi”(Garzanti). In Giappone la parola entrò con lo stesso significato che aveva in Cina,almeno fino alla fine del XVIII secolo, alle soglie dell’era moderna, come ho già detto.
Salta subito agli occhi la fondamentale differenza tra una natura creata da Dio secondo la tradizione Occidentale e “l’essere così com’è da se stessa, non creata” dell’Oriente. Nella cosmologia Occidentale troviamo al vertice Dio, poi al disotto, l’uomo, ma creato a sua immagine a somiglianza, poi al di sotto dell’uomo, il creato, cioè la natura, che nella scala verticale è l’ultima ed è soggetta all’uomo, è al servizio dell’uomo. Nella Bibbia si dice:Poi Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza, ed abbia dominio sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sul bestiame e su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. E Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina. E Dio li benedisse; e Dio disse loro: “Crescete e moltiplicate e riempite la terra, e rendetevela soggetta, e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sopraogni animale che si muove sulla terra”. E Dio disse: “Ecco, io vi do ogni erba che fa seme sulla superficie di tutta la terra, ed ogni albero fruttifero che fa seme; questo vi servirà di nutrimento. E ad ogni animale della terra e ad ogni uccello dei cieli e a tutto ciò che si muove sulla terra ed ha in sé un soffio di vita, io do ogni erba verde per nutrimento”.E l’Eterno Iddio avendo formato dalla terra tutti gli animali dei campi e tutti gli uccelli dei cieli, li menò all’uomo per vedere come li chiamerebbe, e perché ogni essere vivente portasse il nome che l’uomo gli darebbe. E l’uomo dette de’ nomi a tutto il bestiame, agli uccelli dei cieli e ad ogni animale dei campi.”Per questo nell’arte dei giardino occidentali l’uomo dà la sua forma al giardino, impone la sua impronta e lo domina: è cosa sua. In Oriente, l’uomo fa parte della natura, ne condivide le sorti e le caratteristiche. Non si immagina un uomo fuori della natura né ovviamente sopra di essa, l’uomo e gli elementi naturali partecipano insieme all’essere della natura. Riprodurre la natura nelle sue forme significa per l’uomo seguire l’armonia naturale, trovare nella spontaneità del suo modo di essere la propria natura intrinseca profonda, come insegna il Taoismo, ma anche altre dottrine come per esempio lo Zen giapponese. Il Cristianesimo in Occidente, il Taoismo, poi il Buddhismo e anche lo Shintō hanno caratterizzato a Occidente e a Oriente le diverse visioni della natura. Qui, in Occidente la natura va dominata, ordinata per mezzo dell’intervento umano, là in Oriente si trova nell’ “essere così come è” della natura e dell’uomo, il riferimento fondamentale per la propria azione e il proprio senso dell’essere al mondo, fino a diventare nelle dottrine religiose la via che conduce al risveglio dello spirito. Per questo il GEIJUTSU è prima di tutto una via di perfezionamento spirituale. E’ l’arte dello spirito oltre che del bello.
In Giappone lo Shintō insegna che la natura è spirito: i kami (gli dei) sono le forze e le manifestazioni della natura, che vivono in stretto contatto con l’uomo. Il loro rispetto, e più ancora la capacità di entrare in armonia con essi e di ingraziarseli fa di essi alleati nella dura lotta per la sopravvivenza dell’uomo in un ambiente spesso ostile (la natura stessa). Nel panteismo shintoista, si riconosce che la natura, e così anche tutte le cose,hanno uno spirito (noi diremmo un’anima?) e quindi ogni cosa può entrare in contatto con l’uomo e con lui avere un rapporto profondo, direi intimo. Così ogni aspetto della natura, una cascata, una montagna, un fiume non sono presenze estranee all’uomo, ma fanno parte del proprio vivere quotidiano. Nel giardino, nel bonsai, l’uomo non sente la presenza della sua superiorità sulla natura, ma l’intima partecipazione con essa. Nello Shintō la cerimonia della purificazione, una delle più importanti, ha il significato di rendere l’uomo puro per poter così rapportarsi con i kami della natura. L’impurità allontana l’uomo dalla natura e dai suoi spiriti (i kami) mentre la purezza li avvicina,poiché li pone sullo stesso piano. La natura e le sue manifestazioni sono pure, e solo chi è puro, o è tornato ad esserlo, può partecipare alla comunione con essa. Per l’uomo orientale la natura non è soltanto lo sfondo su cui l’uomo agisce, ma è il modello da seguire e da riprodurre dentro e fuori di sé. La riproduzione esterna della natura diventa la manifestazione della natura interiore in una sorta di comunione spirituale. Mentre in Occidente l’uomo tende a Dio, oltre la natura, in Oriente l’uomo tende ad immedesimarsi con la natura, a rilevarne gli aspetti di comune origine. Per questo il GEIJUTSU è il modo attraverso cui l’uomo esprime la propria partecipazione attiva e cosciente con la natura. Allevare, curare e produrre un bonsai è manifestare in modo concreto la comunione che esiste tra uomo e natura. Riprodurre la natura secondo i suoi propri schemi significa dare ordine all’universo e in definitiva alla vita dell’uomo e alla sua interiorità. Trovare nella natura la bellezza (o riprodurla) è un modo per cogliere (o esprimere) la sua perfezione e quella dell’universo e attraverso di essa congiungere l’uomo a questa perfezione della natura. E’ un modo per l’uomo di cogliere, riaffermare ed esprimere il suo “essere natura”, assieme alle piante,ai monti, ai fiumi. In definitiva, è un modo per “sentirsi natura” o tornare alla propria dimensione originale, alla propria natura profonda. Infine, un’ultima considerazione. In Oriente, la natura non è stata oggetto di speculazione astratta, indagine scientifica, o proto-scientifica, come nella Grecia antica né materiale inerte da sfruttare, ma è stata percepita come oggetto di esperienza pratica. Piuttosto l’oggetto della riflessione sulla natura sono stati i modi in cui l’uomo può armonizzarsi con essa, anche attraverso esperienze estetiche soggettive od oggettive. Questo suggerisce che nell’ Oriente antico la natura non è mai stata percepita in modo astratto e separato dall’uomo, che sono le premesse per un atteggiamento di indagine speculativa. Invece, si sono cercate i modi di armonizzazione e compartecipazione: uomo e natura scaturiscono da una stessa fonte (non due fonti diverse come nel Cristianesimo) e fanno parte di una stessa realtà. Seguire la natura è seguire la via corretta; riprodurre le forme della natura è sentirsi partecipi con essa, spartirne lo spirito. Per questo riprodurre la perfezione della natura nel bonsai è anche cercare la propria perfezione interiore. Dare alla pianta una forma perfetta è cercare la propria perfezione; la bellezza della pianta è la propria bellezza interiore.
articolo a cura di Aldo Tollini | S. Michele all’Adige – settembre 2009 © riproduzione riservata